È andata in scena a Milano presso il MIND – Innovation District, che sorge negli spazi in origine destinati all’Expo, l’edizione 2024 del World Manufacturing Forum. L’evento si è svolto sotto l’egida di World Manufacturing Foundation, organizzazione che vede fra i suoi co-fondatori il presidente scientifico Marco Taisch ed è presieduta da Diego Andreis, che ha curato la relazione introduttiva. Di seguito alcuni spunti tratti dalla prima giornata di lavori datata al 14 ottobre scorso.
Dai VUCA… ai VUCA
Obiettivo e filo conduttore dell’evento milanese è stato quello di delineare le Nuove prospettive per il futuro della manifattura, con l’orizzonte fissato al 2030. Il concetto-cardine attorno al quale hanno ruotato le numerose presentazioni affidate ad accademici e manager o rappresentanti delle istituzioni e agenzie internazionali è stato quello dei tipping point.
Ovvero, dei punti di svolta che si parano oggi dinanzi ai mondi dell’economia, della ricerca e dell’industria. Dal come li si affronta dipendono di fatto le sorti della nostra stessa società.
Sono noti: sostenibilità e crisi dell’auto – in fondo le due problematiche sono apparentate – passando per la geopolitica e il ridisegno della supply chain globale; nonché l’ascesa dell’intelligenza artificiale e le spinte verso l’automazione.
Quel che, secondo il vice-scientific chairman di World Manufacturing Foundation David Romero, è necessario fare è dare un segno e un senso diverso alle parole che compongono l’acronimo VUCA. Trasformarle cioè da Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity – tutti caratteri distintivi della contemporaneità, si direbbe – in: Vision, Understanding, Clarity, Agility.
Essere green, e le ragioni le ha spiegate con gli aggiornati allarmanti dati sull’emergenza climatico-ambientale il professor Steve Smith dell’Università britannica di Exeter, è un dovere. Al tempo stesso deve divenire per le imprese un’opportunità che è possibile cogliere attraverso l’utilizzo delle tecnologie innovative.
Giovani talenti cercansi: anzi, trovansi
Indispensabile è sotto questo aspetto promuovere una cultura di condivisione e cooperazione fra i diversi anelli delle catene di fornitura; indispensabile è poter contare sui novi e giovani talenti.
Necessario è allora saperli attrarre e trattenere, perché della volontà delle nuove leve di giocare da protagoniste di qui al 2030 e oltre ha data inequivocabile testimonianza l’ingegner Luca Torelli, formatosi al Politecnico di Milano e ora impegnato presso EssilorLuxottica nelle attività di messa a terra delle strategie per l’economia circolare.
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Ne sa qualcosa e ha portato in tal senso ottime notizie ricordando come i primi corsi passati sulla materia contassero più sedie vacanti che non posti occupati; e che adesso la proporzione si è del tutto invertita.
Fra la visione delle imprese – e relativo business – e quella di consumatori la convergenza c’è e si vede. Se le prime si orientano verso una produzione e una proposta a basso impatto – net zero è lo scopo del celeberrimo marchio dell’occhialeria – è perché sono le abitudini di una clientela consapevole ed evoluta a richiederlo. Non è, sia chiaro, un tema caro alla sola multinazionale italo-francese.
Digitalizzazione e decarbonizzazione (-45% di emissioni è il goal 2025) procedono in parallelo anche nei reparti di Schneider Electrics, a Milano con l’esperta della gestione della supply chain Vanya Manolova.
Come è accaduto nelle fasi del post-Covid, la missione (possibile) del manifatturiero deve essere non soltanto la ripresa economica; bensì pure, alla luce di essa, la conquista di mercati inesplorati.
Fra top-down e bottom-up, meglio entrambi
Se gli input provenienti dall’alto – i produttori – e dal basso (i clienti) si incontrano fruttuosamente, qualcosa di analogo deve avvenire anche all’interno delle imprese, dove volontà del management e desiderata del personale debbono formare un tutt’uno. Insomma, fra un approccio top-down ai temi dell’innovazione e della sostenibilità, e uno bottom-up, meglio entrambi.
A sostenerlo è stato altresì l’esponente del World Economic Forum Eric Enselme, che più volte ha sperimentato la validità di tale filosofia, non da ultimo nel corso delle sue esperienze professionali presso Procter & Gamble.
Ora che l’accento e i riflettori sono puntati sulla minimizzazione delle emissioni Scope 3 che interessa non già le singole imprese quanto piuttosto la catena del valore nella sua totalità, che l’alto e il basso debbano trovare un punto d’intersezione pare ancor più lampante.
A proposito di Procter & Gamble, fra il 2010 e il 2022 questa ha stimato una diminuzione del 57% delle emissioni Scope 1 e 2: è sulla buona strada, si direbbe. Da una forma di sharing all’altra: per Foxconn il chief digital officer Zhe Shi ha fatta menzione del progetto di super-computing center che il mastodonte dei contractor ha in essere con la primattrice dei chip Nvidia.
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Ma si è naturalmente diffuso sulla natura trasversale delle operazioni della sua azienda, fortemente presente nella mobilità elettrica oltre che nell’elettronica di consumo, e del trasferimento tecnologico e contaminazione fra l’uno e l’altro.
È un fattore di successo così come lo è il ricorso sapiente all’automazione e all’intelligenza artificiale (a loro volta fortemente presenti nel modello di business di Foxconn).
Perché le si governi a dovere e ne si tragga efficienza – lo ha spiegato il vicepresidente operations di Continental Automotive e membro del board di EFFRA Olaf Pannenbäcker – è l’uomo in primis a dover esser fatto crescere.
Introdurre tecnologia innovativa nelle fabbriche senza che la si sappia amministrare efficacemente è un fallimento; al tempo stesso formazione, up e re-skilling richiedono tempo e investimenti.
Qui sta forse uno dei tipping point più importanti e rischiosi, nel comprendere che cosa sia l’AI, come addestrarne opportunamente gli algoritmi, in che maniera farne tesoro per generare innovazione.
Se lo è chiesto il docente dell’Università della Carolina del Nord Thorsten Wuest, convinto del fatto che fare rete sia un must per la competitività, in una partita che si gioca fra network contrapposti, più che fra aziende concorrenti e nella quale i rischi sono distribuiti fra tutti gli attori nelle catene.