Verifica di resistenza

Carlo Gorla

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La verifica di resistenza costituisce una delle fasi principali del processo di progettazione meccanica ed è forse quella alla quale viene dato più risalto nei percorsi di studio di ingegneria, tipicamente nell’ambito dei corsi di costruzione di macchine. Essa si compone:

  • di una verifica statica, finalizzata a comprovare la capacità di un componente meccanico, di una macchina o di una struttura, di sopportare senza cedimenti le sollecitazioni prodotte dai carichi massimi di esercizio e di funzionare correttamente in presenza delle deformazioni da essi determinate;
  • di una verifica a fatica, il cui obbiettivo è di escludere che possano verificarsi rotture derivanti dalla ripetizione ciclica dei carichi.

Alle suddette verifiche fondamentali se ne possono aggiungere altre, quali ad esempio quelle a scorrimento viscoso, nel caso di funzionamento a temperature elevate, alle frequenze proprie e alle velocità critiche, o rispetto a fenomeni di instabilità, ad esempio.

L’esito della verifica, se positiva, viene quantificato mediante un coefficiente di sicurezza, che indica di quanto possono essere incrementati i carichi applicati, prima che gli stessi producano il cedimento, cioè il margine rispetto alla condizione limite. Generalmente ci si deve assicurare che tale coefficiente superi il valore minimo prescritto dalle eventuali normative applicabili.

Più in dettaglio, si possono definire un coefficiente di sicurezza esterno, relativo ai carichi, ed uno interno, relativo agli sforzi, che solo in caso di proporzionalità tra gli uni e gli altri assumono lo stesso valore. In generale, per la corretta definizione di un coefficiente di sicurezza ci si deve riferire alla modalità con la quale si passa dalla condizione di esercizio a quella di collasso, specificando quali carichi rimangano invariati (ad esempio il peso proprio di una struttura) e quali variano.  A rigore la verifica dovrebbe essere condotta in ogni punto del corpo in oggetto ma, nella pratica, ci si può concentrare su di un numero discreto di punti, tra i quali individuare quello nelle condizioni più critiche.

Figura 1 –  La superficie limite di Guest-Tresca nello spazio degli sforzi principali

Verifica statica

La verifica statica, nel caso più semplice di stato di sforzo monoassiale, viene eseguita mediante confronto dello sforzo applicato con lo sforzo limite di trazione (o di compressione) del materiale, cioè quello che produce il cedimento per rottura, se il comportamento è di tipo fragile, o per snervamento, se duttile. Determinati mediante prove di trazione standardizzate.

Si indica con il termine di sforzo ammissibile quello limite ridotto in misura del coefficiente di sicurezza richiesto.

In generale, però, i carichi di esercizio producono nel materiale stati di sforzo multiassiali, per i quali non è possibile un confronto immediato con una condizione limite monoassiale. In questi casi il processo di verifica è più complesso e richiede l’introduzione delle teorie, o criteri, di resistenza. Questi si basano generalmente sulla definizione di una grandezza indice del pericolo, a parità della quale stati di sforzo differenti nelle componenti del tensore sono equivalenti rispetto al cedimento. Tra i criteri più noti si annoverano quello di Guest-Saint Venant-Tresca (più semplicemente Guest-Tresca), secondo il quale la grandezza indice del pericolo è il massimo sforzo tangenziale (τ), quello di Ros-Eichinger, che considera lo sforzo tangenziale ottaedrale, quello di Huber-Hencky-Von Mises (o semplicemente Von Mises), basato sul lavoro specifico elastico di variazione di forma; i suddetti criteri trovano una buona corrispondenza con la realtà nel caso di comportamento duttile, quando cioè il cedimento è rappresentato dallo snervamento, mentre per la rottura fragile è più indicata la teoria di Galileo-Leibniz-Rankine-Navier, secondo la quale il pericolo è legato allo sforzo principale massimo (o minimo, negativo, nel caso della compressione).

Figura 2 –  La curva limite di Von Mises nel piano degli sforzi principali

Dalla grandezza indice del pericolo, mediante comparazione con il valore della stessa nella condizione di sforzo monoassiale, si passa allo sforzo di confronto, cioè ad una espressione funzione delle componenti del tensore dello stato di sforzo applicato, direttamente confrontabile con il limite a trazione.

Si riportano, a titolo esemplificativo, le espressioni dello sforzo di confronto secondo i criteri di Guest-Tresca e di Von Mises (quest’ultimo risulta coincidente con quello di Ros-Eichinger) per uno stato di sforzo piano costituito da una componente di sforzo normale (σ) e una tangenziale (τ):

Il coefficiente di sicurezza viene infine calcolato come rapporto tra lo sforzo limite (monoassiale) e lo sforzo di confronto, secondo il criterio prescelto:

I criteri di resistenza possono anche essere rappresentati graficamente, mediante superfici limite che, nello spazio degli sforzi principali, separano gli stati di sforzo entro ed oltre il limite, o, nel caso piano, mediante curve limite nel piano degli sforzi principali o in quello di Mohr (σ, τ).

Oltre a quelle elencate, vi sono altre teorie più complesse, tra le quali si ricorda quella dovuta al Mohr, secondo la quale la curva limite è definita in modo sperimentale, inviluppando nel piano σ, τ i cerchi rappresentativi delle condizioni di cedimento per diversi stati di sollecitazione.

La verifica a deformazione si esegue invece calcolando gli spostamenti e le rotazioni massime in punti significativi della struttura e confrontandoli con i rispettivi valori limite, che possono essere costituiti da indicazioni di tipo generale, come ad esempio da valori tipici da non superare per rapporto tra la freccia e la luce di una trave, per strutture schematizzabili con tale modello, o più specifiche, come nel caso di rotazioni in corrispondenza dei supporti, che devono essere compatibili con quelle ammesse dal cuscinetto utilizzato. Più specificamente, le limitazioni sulle deformazioni possono essere più o meno restrittive, in relazione al grado di precisione richiesto dal campo di applicazione dell’oggetto considerato (meccanica generica, di precisione, trasmissioni di potenza ad ingranaggi, macchine utensili, etc.).

Figura 3 – Il criterio di Mohr

Verifica a fatica

Anche per la verifica a fatica, si procede considerando dapprima il caso monoassiale e, poi, quello pluriassiale, introducendo le teorie di resistenza. Vi sono tuttavia più variabili da considerare, come ad esempio l’effetto della combinazione di sforzo medio e ampiezza (rapporto di fatica), dell’influenza delle dimensioni e della finitura superficiale, della durata richiesta, a termine o a vita illimitata, o della combinazione di cicli a carichi diversi, come già specificato sul numero dello scorso febbraio nella puntata dedicata appunto al fenomeno della fatica.

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