Accumulatori, eroi misconosciuti dell’oleodinamica

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Esperienza comune a chi fa formazione in oleodinamica. Entrando nel capitolo ausiliari incontra prima o poi gli accumulatori e dedica a questi componenti un’attenzione che, in aggiunta alla costituzione fisica, si limita spesso al richiamo di alcune leggi fondamentali della termodinamica. Da qui il destino di eroi misconosciuti – espressione ripresa da un titolo del 2006 – perchè, anche studiando i circuiti, il ruolo degli accumulatori è segnalato in termini piuttosto generici, quasi fosse ovvio, nonostante i loro indubbi meriti. In questa circostanza il focus si concentra sul rendimento dell’accumulatore.

L’accumulatore idraulico nacque intorno alla metà dell’800 sotto la spinta della necessità. Tutto cominciò quando le gru idrauliche di W.G. Armstrong – figura poliedrica a cui è dedicato il primo box – non avevano a disposizione acqua alla pressione richiesta dal loro funzionamento (Figura 1). La prima soluzione concepita da Armstrong fu la costruzione di torri che avessero al loro interno serbatoi abbastanza capienti installati all’altezza richiesta dalla pressione. La Figura 1 mostra la torre presente nel porto di Grimsby (Lincolnshire) dotata di un serbatoio di circa 150.000 litri all’altezza di circa 60 metri; con un tocco di raffinatezza estetica l’architettura della costruzione si ispira alla Torre del Mangia di Siena. Più avanti il compito passò a una torre ben più bassa, dove alla pressione dell’acqua provvedeva il peso di una massa di 300 tonnellate. In entrambi i casi si trattò della prima realizzazione di un accumulatore “a gravità”, con due interpretazioni diverse dello stesso principio; un’invenzione non granché spettacolare ma utilissima nello sviluppo di numerose apparecchiature del XIX secolo (sempre azionate ad acqua).

Dopo 200 anni (o quasi)

Per loro natura, le varianti dell’accumulatore a gravità non avrebbero portato molto lontano, nonostante vantassero la costanza della pressione dell’acqua. Si capisce allora che, facendo un salto nel tempo fino a oggi, le foto di famiglia dei produttori di accumulatori esibiscano una platea di discendenti ben più vasta. Nella Figura 2, per esempio, si riconoscono facilmente i classici accumulatori a stantuffo (a destra), a sacca (al centro) e a diaframma (a sinistra). Nella stessa Figura 2 sono richiamati i simboli definiti dalla norma ISO 1219-1. Il balzo delle migliori prestazioni degli accumulatori è stato possibile sostituendo l’energia potenziale della massa con la compressione di un gas, normalmente azoto, separato dal fluido idraulico da uno stantuffo, un diaframma o una sacca (si legge anche di grandi presse, in cui accumulatori da 20.000 litri hanno l’azoto a diretto contatto con il fluido). Si usa dire che la scelta dell’azoto è dovuta alla sua natura di gas “inerte”, nel senso che non reagirebbe con nessun altro elemento (attenzione, inerte non significa inoffensivo, nda). A rigore, l’azoto non è inerte ma conviene comunque perché difficilmente reagisce nelle condizioni operative normali degli accumulatori e ha vantaggi enormi di disponibilità e costo rispetto, per esempio, all’elio. Benché siano assenti fra i componenti di impiego corrente, nulla impedisce che accumulatori a gravità siano presenti in applicazioni particolari, dove le condizioni al contorno li rendano interessanti. D’altra parte, la flessibilità di progettazione appartiene a tutti gli accumulatori. Nelle applicazioni stazionarie, per esempio, l’accumulatore è di frequente “esteso” collegandolo a una o più bombole di gas in parallelo che rendono la pressione meno sensibile al volume di fluido presente nell’accumulatore stesso (Figura 3); o ancora, nonostante difficoltà logistiche non indifferenti, gli accumulatori sono stati decisivi nella soluzione di un complesso problema di sicurezza (vedi secondo box).

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