Un’arena per il futuro dell’e-mobility: un progetto estremamente innovativo che potrebbe contribuire in maniera importante a una maggiore diffusione della mobilità elettrica
Si chiama Arena del Futuro e non poteva esserci nome più azzeccato perché su questo anello di asfalto lungo 1 km, appositamente realizzato a Chiari (BS), lungo l’autostrada A35 Brebemi, si sta sperimentando una tecnologia che potrebbe costituire una svolta nella diffusione del trasporto elettrico. Qui, per così dire, si gioca una partita importante per la mobilità elettrica, non solo italiana.
La tecnologia che si sta sperimentando è stata sviluppata dalla azienda israeliana Electreon, si chiama Dynamic Wireless Power Transfer (o DWPT) ed è una modalità di ricarica per induzione che permette ai veicoli elettrici di ricaricarsi viaggiando su corsie dedicate, grazie a un innovativo sistema di spire posizionate sotto l’asfalto che trasferiscono direttamente l’energia necessaria ai mezzi (auto, camion, bus). Questi sono attrezzati con un ricevitore apposito, in grado di trasmettere l’energia di ricarica alla batteria che alimenta il motore del veicolo. Detto così, sembra semplice, ma la dimensione del consorzio che si occupa di questo progetto e la varietà di competenze coinvolte indica che il progetto è tutt’altro che semplice e, soprattutto, che porta con sé molta innovazione.
Una fucina di innovazione
La prima innovazione consiste proprio nella scelta di favorire e testare questa tecnologia di ricarica rispetto ad altre già conosciute. Come spiega il prof. Dario Zaninelli del Politecnico di Milano, partner del progetto: «In uno studio preliminare che il nostro Gruppo di ricerca ha condotto precedentemente al progetto, abbiamo considerato le tre principali tecnologie di ricarica in movimento oggi note: tramite alimentazione dall’alto via pantografo, tramite un binario elettrificato posto a terra a cui il veicolo si collega con un pattino mobile e infine la tecnologia DWPT per induzione.
Abbiamo considerato quale tecnologia potesse essere la più promettente dal punto di vista della fattibilità tecnica, economica, di impatto ambientale e di sicurezza e, nonostante la DWPT fosse in uno stadio di applicazione meno avanzato rispetto alle altre due e fosse, ai tempi del nostro studio, ancora solo in fase sperimentale in Israele, è risultata di fatto la più promettente per uno sviluppo su larga scala». Nel frattempo, sono state realizzate anche altre applicazioni di questa tecnologia al di fuori di Israele – in Svezia e Germania – ma nessuna ha le caratteristiche di Arena del Futuro. «Arena del Futuro è un esperimento molto importante perché qui stiamo analizzando numerosi parametri per una applicazione su ampia scala della tecnologia. Innanzitutto, Arena del Futuro è ad oggi l’unico tratto ad anello per questa tecnologia e questo significa che possiamo verificare la sua validità su molti km. Quindi stiamo testando diverse tipologie di asfalto per vedere se ve ne sono alcune che permettono una migliore trasmissione dell’energia. La forma ad anello del circuito ci permette di analizzare la qualità della trasmissione di potenza sia in rettilineo – quando il veicolo è in asse con le bobine poste sotto l’asfalto – sia in curva, quando invece gli assi non sono perfettamente allineati. Le linee di alimentazione al sistema che fornisce corrente elettrica alle bobine poste sotto l’asfalto sono realizzate in alluminio e non in rame e, nonostante questo, stanno dimostrando una buona conduzione dell’elettricità. Infine, nelle linee di alimentazione passa corrente continua e non alternata come nelle altre realizzazioni e questa caratteristica rende il nostro sviluppo idoneo per una applicazione su lunghe distanze».
Sì, perché questa è l’idea di fondo dietro al progetto: trovare un modo per poter ricaricare i veicoli elettrici anche in autostrada, senza obbligarli a cercare punti di ricarica e a fare pause più o meno lunghe a seconda del veicolo. Quello della infrastruttura di ricarica è un tema caldo della mobilità elettrica, è sicuramente uno dei fattori a cui è legata la sua diffusione e in Italia non si brilla per capillarità: secondo i dati di un rapporto compilato da ChargeUp Europe, un’associazione di 28 società che gestiscono complessivamente 500.000 colonnine, nel 2021 in Europa vi erano in media 73 infrastrutture pubbliche ogni 100.000 abitanti (quindi 1 ogni 1.370 persone), ma in Italia queste scendono a 43. Inoltre, per mezzi di trasporto pesante, l’autonomia del veicolo e i tempi lunghi di ricarica sono ancora un ostacolo alla diffusione dell’elettrico. Da qui si comprende la portata rivoluzionaria di un sistema che, se prendesse piede, permetterebbe di ricaricare i veicoli durante il viaggio, siano essi automobili, camion o autobus. E i risultati dei primi test condotti sono confortanti. Afferma Zaninelli: «Il sistema dimostra di funzionare nonostante lo spazio tra il veicolo e la bobina che è posta a 12 cm sotto il manto stradale. Anche dal punto della sicurezza i risultati sono positivi perché i campi magnetici generati dalla corrente attraverso la bobina sono molto inferiori alle soglie normative per la salute umana». Cosa significa che “il sistema funziona”? Significa che i veicoli si lasciano ricaricare alla velocità di crociera, senza dover rallentare passando sulle bobine e che lo fanno in maniera efficiente. Ad Arena del Futuro si stanno attualmente testando due tipologie di veicoli: una 500 elettrica messa a disposizione da Stellantis e un autobus IVECO. I risultati? «Mentre per l’autobus, che è un mezzo particolarmente energivoro per peso e utilizzo del condizionamento, la ricarica durante il movimento permette di mantenere un livello stabile di carica della batteria, l’auto addirittura dimostra di poter accumulare energia nella batteria, quindi la ricarica è maggiore del consumo del veicolo».
L’infrastruttura richiesta
Quali infrastrutture sarebbero necessarie per dotare le autostrade di una corsia con questa tecnologia? «Fondamentalmente è richiesto il posizionamento di bobine sotto il manto stradale e della installazione di cosiddette Management Unit lungo la corsia, che comprendono le centraline che allacciano le bobine alla rete, i sensori per indicare l’avvicinamento della macchina e che fanno partire la circolazione della corrente nelle bobine. Per le macchine si richiede di montare a bordo un ricevitore che fa da controparte alla bobina sotto il manto stradale mentre non è richiesta nessuna modifica particolare in termini di batterie».
Una tecnologia dalle tante potenzialità
È lecito supporre che ogni ricevitore abbia un suo proprio codice e quindi che sia possibile identificare ogni veicolo? «È così ma ciò porta numerosi vantaggi perché questa tecnologia permette indirettamente di controllare automaticamente la velocità delle macchine e il peso degli autoveicoli. È quindi di interesse per la sicurezza stradale. Inoltre, tale tecnologia permetterebbe eventualmente di eliminare le barriere di ingresso e uscita delle autostrade, velocizzando notevolmente il traffico per i veicoli elettrici». Il Politecnico di Milano, dunque, come partner scientifico e tecnico del progetto, vede molte potenzialità in questa tecnologia, non solo alla luce dei primi risultati sperimentali ottenuti ma anche alla luce dei possibili futuri sviluppi. Tra i tanti vantaggi della tecnologia di ricarica a induzione le ricerche stanno evidenziando: una maggior efficienza energetica del veicolo grazie alla ricarica in viaggio; una riduzione del volume delle batterie nei veicoli senza impattare sulla capacità di carico merci e persone; un aumento della vita media della batteria stessa grazie al fatto che si eviterebbero picchi di ricarica perché verrebbe alimentata ad intervalli durante il giorno. La tecnologia DWPT presenta, inoltre, grande versatilità in quanto, oltre all’utilizzo su strade e autostrade, essa si potrebbe confermare utile e ideale anche all’interno di altre infrastrutture come porti, aeroporti e parcheggi.
La strada ancora da percorrere
A che punto siamo, in termini di sviluppo? «A luglio abbiamo iniziato prove sperimentali più approfondite che proseguiranno per nove mesi circa. In questi test sono coinvolti anche polizia stradale e vigili del fuoco in modo da approfondire anche le questioni legate alla sicurezza della tecnologia. Stiamo davvero cercando di analizzare tutti gli aspetti possibili e tutti gli impatti coinvolti. Dopo di che saremo in grado di rispondere a tutte le domande che ancora rimangono aperte e descrivere nel dettaglio come si comporta la tecnologia. Sulla base di questi risultati si decideranno i prossimi passi». Nel percorso verso la decarbonizzazione dei trasporti attraverso la mobilità elettrica, a fronte di criticità legate alla vita e all’ingombro delle batterie, la ricarica ad induzione può contribuire ad una transizione verso modelli di mobilità sostenibile che migliorino l’esperienza sul campo degli utenti. Una volta a regime, il sistema potrà contribuire a migliorare la qualità del viaggio dell’utente, grazie a una riduzione dei tempi di sosta per ricarica legata alla combinazione ottimale tra diversi sistemi di ricarica.
(di Maria Luisa Doldi)