Manager della sostenibilità cercasi

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Fino a oggi in molte aziende la gestione della sostenibilità è stata delegata a figure in ambito hr o marketing-comunicazione. Ma nel prossimo futuro le aspettative degli stakeholder, la necessità di gestire situazioni critiche, anche in termini reputazionali e di applicare normative sempre più complesse, spingerà le organizzazioni ad avere al loro interno professionisti ad hoc. Non a caso il sustainability specialist è tra le professioni in ascesa.

Coniugare sostenibilità e competitività. Questa la grande sfida che oggi impegna le aziende di tutto il mondo. Ciò significa non solo progettare attività di sostenibilità ambientale, sociale e di governance ma anche tenerne sotto controllo i risultati. E per raggiungere questo importante obiettivo la presenza nelle imprese di un professionista ad hoc sarà sempre più centrale.

Lo conferma anche la classifica 2024 dei lavori in crescita stilata da Linkedin, in base alla quale il sustainability manager è tra le 15 professioni in rapida ascesa a livello globale. Prova ne è che la richiesta di responsabili della sostenibilità nell’ultimo anno è aumentata del 52%, quella di sustainability specialist del 43%, mentre la figura del consulente sostenibilità ha messo a segno un dignitoso +34%.

Un trend confermato anche dal rapporto “Alte competenze per un futuro sostenibile dell’osservatorio 4.Manager“, in base al quale da qui al 2026, sia imprese sia Pubblica amministrazione avranno necessità di 4 milioni di lavoratori di medio e alto profilo con queste competenze. «Le aziende oggi sono chiamate a mettere a fuoco un nuovo approccio alla sostenibilità. Non si tratta solo di individuare e realizzare azioni che riflettano una maggiore attenzione all’ambiente o ambiscano a una superiore ricaduta sociale. Si tratta di sviluppare una concreta integrazione strategica delle tematiche ESG nel modello di business, ripensando i rapporti con tutti gli stakeholder e aggiornando i prodotti e i servizi venduti sul mercato, nell’ottica di una crescente generazione di valore», ha commentato Franco Amelio, Deloitte sustainability leader, in occasione della presentazione dello studio “Il ruolo del sustainability manager“, firmato dalla società di consulenza internazionale.

Presente solo nel 7% delle Pmi

Peccato che in Italia, secondo le analisi di Deloitte, il sustainability manager sia presente solo nel 7% delle aziende, percentuale che sale al 37% se si prendono in considerazione quelle con più di 50 dipendenti.

Ma quali sono le funzioni di questo professionista? Sulla carta deve occuparsi di identificare le strategie e i progetti di sostenibilità nelle imprese.

Tra i suoi obiettivi ci sono la riduzione dell’impatto ambientale, il rapporto con i dipendenti volto all’equità e all’inclusione, la promozione dei diritti umani, la collaborazione con la comunità locale, il territorio, il volontariato e le iniziative sociali. Il CSR Manager organizza e gestisce queste attività, stabilisce dei criteri di misurazione dell’impatto generato, redige il bilancio di sostenibilità, si adopera per sviluppare una cultura aziendale sostenibile e assicurare una corretta e trasparente comunicazione verso l’interno e l’esterno, assicurando una percezione pubblica positiva della società ed evitando il greenwashing.

Le competenze specifiche della sostenibilità riguardano spesso normative, certificazioni, e strumenti specifici (per esempio i GRI Standards per la redazione dei bilanci di sostenibilità). Molto importanti sono anche le competenze soft, tra cui le capacità di comunicazione e leadership e di pensiero integrato. Il manager della sostenibilità deve saper dialogare con attori molteplici, dentro e fuori l’impresa, e con diverse funzioni aziendali. Competenze che devono essere necessariamente supportate da skill sempre più tecniche.

Nota: i dati descrittivi sul ruolo del responsabile della sostenibilità, il suo inquadramento, la struttura di risporto e la composizione del team si basano sulle risposte di 77 aziende (tra interviste telefoniche e face to face) che hanno dichiarato di avere questa figura.

Tra teoria e pratica

Ma su come queste figure professionali devono svolgere il loro ruolo all’interno delle aziende c’è ancora un po’ di confusione. Come riporta il rapporto di Deloitte, infatti, esiste un divario tra il punto di vista delle aziende nazionali e quello di coloro che si occupano quotidianamente di tali temi.

Secondo le aziende il RSO (responsabile sostenibilità) dovrebbe focalizzarsi soprattutto sull’attività di ricerca e sviluppo e sulla gestione dell’innovazione, così come sulla gestione e sul miglioramento dell’impatto dell’attività sulla comunità e sul territorio in cui opera.

Del resto, sostenibilità significa innovare e trasformare prodotti e servizi, e integrare sempre più gli interessi della comunità e del territorio nell’agire aziendale: è una lettura di ampio respiro, che vede la sostenibilità nella sua forma più alta, ovvero di trasformazione dei modelli di business.

Ma per gli RSO l’attenzione è in particolare rivolta al tema dell’ottimizzazione della produzione, attraverso l’applicazione dei principi di riduzione del consumo di risorse, in un’ottica di economia circolare e di efficienza energetica.

Dal momento che un intervistato su due opera nel settore manifatturiero, questa prospettiva è indubbiamente legata alle caratteristiche del settore industriale in esame, anche se queste attenzioni si sono ormai imposte in senso generale.

Dunque, occuparsi attivamente di sostenibilità è ancora – in primo luogo – un tema interno, di ottimizzazione e miglioramento dei processi produttivi, per ridurre l’impiego di risorse e mitigare gli impatti esterni, mentre il dialogo con l’esterno resta, per il momento, in secondo piano.

Un altro punto su cui aziende e responsabili della sostenibilità divergono riguarda la rete di relazioni che i professionisti della sostenibilità devono tessere all’interno dell’organizzazione, per avere informazioni utili non solo a identificare i principali interlocutori, ma anche a individuare le principali aree d’intervento e il relativo peso nella struttura aziendale. Secondo le imprese, questi professionisti devono interagire soprattutto con le aree delle risorse umane, della ricerca e sviluppo e della comunicazione e marketing.

Per gli RSO coinvolti nella ricerca di Deloitte, invece, è importante stabilire una relazione diretta con il top management, la proprietà e l’amministratore delegato, data la rilevanza strategica dei temi trattati. Non a caso sono sempre di più le imprese che decidono di assegnare al RSO un ruolo apicale nella struttura organizzativa.

Un ruolo in evoluzione

C’è però un punto su cui sia aziende sia manager della sostenibilità concordano: in futuro la presenza di questi professionisti nelle imprese è destinata ad aumentare e con un peso che, a tendere, sarà sempre più importante. Del resto, se fino a oggi in molte società il manager della sostenibilità è stata una figura “riconvertita” da altri ruoli (funzioni hr e marketing-comunicazione), ora va sempre più professionalizzandosi, sotto la spinta prima di tutto delle aspettative degli stakeholder: dai clienti (per il 37%) e dai fornitori (per il 20%) anzitutto, meno dall’azionariato (per il 13%).

Notevole impatto sulla crescita degli RSO nel prossimo futuro lo avrà anche la necessità delle imprese di gestire situazioni critiche, anche in termini reputazionali così come l’evoluzione normativa. «I responsabili aziendali della sostenibilità oggi sono chiamati a svolgere funzioni operative e a offrire, nel contempo, visione e capacità di indirizzo. L’auspicio è che si arrivi rapidamente a consolidare il loro ruolo, a cui spesso è delegata anche l’interlocuzione con stakeholder portatori di esigenze tra loro differenziate», ha aggiunto Stefano Pareglio, presidente di Deloitte Climate & Sustainability.

Parola chiave professionalizzazione

La strada sembra essere ormai tracciata, dunque, tanto che secondo l’Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (Altis), nei prossimi anni un significativo numero di aziende e società di consulenza (i contesti lavorativi di riferimento per un sustainability manager), prevede di incrementare l’organico con competenze di sostenibilità.

Nelle realtà più grandi si formeranno dei veri e propri team della sostenibilità composti da persone con competenze specifiche e differenti. Probabilmente si formeranno due filoni di carriera: uno su ruoli “puri“, specializzati sulle tematiche di sostenibilità e l’altro di tipo ibrido, ovvero ruoli tecnici ibridati con temi di sostenibilità.

E anche nelle Pmi qualcosa si sta muovendo, anche in se in modo meno strutturato, come conferma l’analisi dello Studio Temporary Manager, in base alla quale già nel 2023 le richieste di informazioni di Pmi sull’attività di manager temporanei esperti di tematiche ESG sono aumentate del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E per il prossimo futuro ci si aspetta che il dato continuerà a crescere sensibilmente. Il tutto nel nome della professionalizzazione.

Carolina Parma

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