Misurare la durezza con il test di Leeb

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Tra le prove di durezza “a rimbalzo”, spicca il test di Leeb, dal nome del tecnico tedesco che l’ha messo a punto. In questo articolo andremo a illustrarne i principi attuativi.

Test di durezza a confronto

Nell’ambito dei trattamenti termici e termochimici, il primo indicatore macroscopico utilizzabile per la verifica dell’effetto del trattamento stesso è indubbiamente la durezza del materiale: cosi come da una tempra o una cementazione ci aspettiamo un innalzamento della durezza, cosi da un rinvenimento ci si attende invece una diminuzione della stessa durezza.

Purtroppo le modalità più consolidate per la misurazione della durezza (Brinell, Vickers, Rockwell…) prevedono l’esecuzione della misurazione su campioni di dimensioni relativamente piccole e da inserire all’interno delle attrezzature di prova, una procedura non applicabile alla stragrande maggioranza dei componenti “reali”, da cui l’esigenza di implementare modalità di prova della durezza eseguibili in forma portatile, ossia con lo strumento posizionato “sopra” il componente, invece di avere il componente inserito “dentro” lo strumento.

Nell’ambito di questa tipologia di prove, sicuramente quelle che godono del maggiore favore sono le cosiddette prove di durezza “a rimbalzo”, e tra queste quella maggiormente affermata è indubbiamente quella conosciuta come prova di durezza Leeb, dal nome del tecnico tedesco da cui è stata sviluppata.

In questo articolo andremo a illustrarne i principi attuativi, in comparazione con i principi attuativi delle prove di durezza tradizionali: tale analisi sarà fondamentale per introdurre i limiti operativi della prova di durezza Leeb e permetterne un utilizzo critico in comparazione con i risultati offerti dalle prove di durezza tradizionali.

 

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