L’evoluzione della manifattura additiva dallo status di tecnologia preziosa per la realizzazione veloce di prototipi e parti a quello di risorsa per la produzione di serie è bene illustrata dalla vicenda della piemontese Model Project, capace di integrare la stampa 3D e le tecniche tradizionali con successo.
Model Project, pionieri della stampa 3D
Il mercato dei sistemi e dei materiali per la manifattura additiva è in crescita e a darne testimonianza sono ricerche recenti come quella di Context che ha calcolato per i polimeri e le polveri metalliche usate nell’industria un aumento di vendite del 29,9% nel 2018 oltre quota 4.6 miliardi di dollari. Né la spinta sarebbe destinata ad affievolirsi, visto che l’incremento a tassi costanti previsto per i prossimi cinque anni è del 26%, grazie soprattutto allo sviluppo dei metalli a scapito delle plastiche. Analogamente, gli analisti hanno pronosticato per le macchine di fascia più alta – cioè dal prezzo di listino superiore ai 100 mila dollari – un +25% in più di consegne già nel 2019, trainate dal +49% delle stampanti a metallo e dal +20% di quelle polimeriche. Complessivamente poi, stando a IDTechEx Research, nel prossimo decennio il settore dovrebbe essere in grado di dare vita a un business da ben 31 miliardi di dollari. Se tuttavia l’affermazione su vasta scala dell’additive manufacturing è notizia relativamente recente, la sua storia è ben più lunga e articolata e a trarre reali vantaggi dalla situazione attuale sono come spesso capita i pionieri. Ovvero le officine che in tempi non sospetti avevano intravisto le potenzialità di questi strumenti e vi avevano investito. È il caso della piemontese Model Project che ha introdotto la prima stampante 3D nel suo stabilimento di Scarmagno (Torino) addirittura 24 anni orsono, nel 1995. Il suo percorso segue la transizione del 3D printing da tecnologia utile soprattutto alla prototipazione a vero e proprio strumento produttivo.