
L’EBM è un sistema di produzione additiva che coincide totalmente con il produttore, dal momento che è stato inventato, brevettato e implementato su tutte le sue macchine dalla società Arcam. Fondata nel 1997 in Svezia, è quotata al NASDAQ di Stoccolma, sede produttiva principale a Mölndal (Svezia) e uffici commerciali negli Stati Uniti, Cina, Inghilterra e Italia. La tecnologia EBM, acronimo di Electron Beam Melting, coperta da 25 famiglie di brevetti, si contrappone, a livello di manifattura additiva di metalli, ad altre tecnologie impiegate da diversi produttori con varianti dello stesso concetto di fusione di polveri metalliche tramite il calore sviluppato da uno o più raggi laser: la Direct Metal Printing (DMP) di 3D Systems, la Laser Cusing di Concept Laser, la Direct Metal Laser Sintering (DMLS) adottata da EOS, Matsuura, Renishaw e così via.

Elevata produttività
Rispetto alla sinterizzazione delle polveri mediante laser, l’EBM si contraddistingue per una maggiore produttività e per una accuratezza dei modelli leggermente inferiore. Il che vuol dire che le macchine stampano a una velocità davvero elevata, che può raggiungere gli 80 centimetri cubi all’ora, ma gli oggetti avranno una precisione e una finitura superficiale meno accattivante rispetto ad altre tecnologie di manifattura additiva. Ad ogni buon conto, i modelli prodotti hanno caratteristiche meccaniche uguali o addirittura superiori a quelli realizzati con tecnologie convenzionali e questo anche grazie al fatto che la fusione di polveri di metallo puro, senza aggiunta di elementi bassofondenti, permette di ottenere elementi massicci, ad elevata densità. Come per ogni procedimento additivo, le polveri vengono solidificate strato dopo strato, in questo caso da fasci di elettroni e in una camera sotto vuoto che permette di lavorare bene anche i materiali reattivi all’ossigeno come il titanio. Più precisamente i materiali impiegabili attualmente sono Titanio Ti6Al4V, Titanio Ti6Al4V ELI, Titanio Grado 2, Cromo Cobalto, ASTM F75. Quest’ultima è una lega composta da cromo, cobalto e molibdeno molto usata per usi medicali perché biocompatibile, resistente alla corrosione e all’usura, non magnetica.

Tre modelli
Arcam attualmente produce tre modelli basati su questa tecnologia: Q10, Q20 e A2X. I primi due si contraddistinguono essenzialmente per le dimensioni degli oggetti stampati: dai 20 × 20 × 18 cm della prima (impiegata soprattutto in campo medicale) ai 35x35x38 cm della seconda, che trova impiego sovente nell’industria aeronautica e aerospaziale quando lavora leghe di titanio. È lo stesso impiego pensato per l’ammiraglia, la A2X, la cui produttività è esasperata da fasci di elettroni con una potenza variabile in continuo da 50 a 3000 W. Questa macchina lavora con una accuratezza fino a 0,13 millimetri e può stampare oggetti di dimensioni fino a 20 x 20 x 38 centimetri, quindi come la Q10 ma con una produttività più elevata. In tutti i casi si tratta di sistemi di stampa industriali, che richiedono investimenti consistenti. La quotazione della A2X, per fare un esempio, non è pubblica, ma si parla di circa 800 mila euro. I vantaggi che si possono ottenere però, quando si tratta di creare pezzi unici che con le tecnologie convenzionali sarebbero troppo costosi da fare, in tempi troppo lunghi o addirittura impossibili per le geometrie particolari, sono tali da giustificare l’investimento.